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venerdì 5 febbraio 2010

ILA ROSSO - ANTAUTORE



Ila Rosso - ANTAUTORE

Incontro Ilario, in arte Ila, una sera in birreria.

Lo avevo ascoltato un po’ di tempo fa durante un concerto e mi aveva colpito il suo modo “vecchia maniera” di presentarsi sul palco: da solo con la sua chitarra acustica. I testi inoltre risultavano non “facili”, nel senso che andavano ascoltati, elaborati, “masticati”.

Eppure Ila sembrava molto tranquillo, con un sorriso sornione sul viso, come a voler sfidare il pubblico, sapendo di fare qualcosa di particolare.

La cosa mi aveva colpito molto e mi era nata la voglia di questa intervista.


Come hai iniziato a suonare Ila?

Ho iniziato con la mia prima chitarra a 15 anni.

Mio padre ascoltava Fabrizio De Andrè, Gipo Farassino, Fred Buscaglione, queste sono le mie radici, è da li che vengo.

Sono un chitarrista autodidatta.

Andando al liceo ho cantato in un gruppo che faceva cover dei doors. Nel frattempo l’anima si faceva più ribelle usciva la rabbia giovanile ed iniziavo ad ascoltare molto rock, soprattutto italiano: CCCP, Massimo Volume, Marlene Kuntz.

Dal 1998 al 2003 ho militato in un gruppo che si chiamava Margine Critico. Cantavo i pezzi che io scrivevo.

Poi il gruppo si è sciolto; diciamo che con l’inizio dell’università ognuno è andato per la sua strada o forse semplicemente io ci credevo più degli altri.

Perché hai deciso di andare avanti salendo da solo sul palco?

Il passo è stato quasi naturale. I testi li avevo sempre scritti io. In quel periodo facevo anche cose elettroniche, avevo composto anche un radiodramma e poi come ti ho già detto le mie origini provengono dai cantautori.

Volevo far parte anche io di questa corrente, della musica popolare nel senso non dispregiativo del termine, volevo mantenere il legame con la tradizione. Diciamo che salire sul palco con la chitarra è un po’ il mio modo per celebrarla.

Prima il mio era un cantare più parlato, ora lo è un po’ meno. Mi piace giocare con i testi un po’ come un poeta che gioca con le parole.

Hai una tecnica per scrivere?

Non ho un metodo preciso. Sono emozioni che si sentono dentro, in più non avendo un vero e proprio lavoro ho molto tempo per farle maturare. In testa ho sempre musica che mi gira.

Catturo un’immagine che sta li finché non diventa qualcosa, uno slogan.

Lo slogan poi diventa il pezzo forte della canzone, il ritornello, quello che ti porta al tema scelto.

La forma canzone per me non è stata una scelta, mi ci sono ritrovato.

Scrivi di getto?

Sempre. Per me è un’abitudine. Ha volte mi canto delle bozze, delle immagini sul cellulare. Poi con calma le riprendo e le rielaboro.

Prima facevo tutto subito, scrivevo testo e musica e la canzone rimaneva quella della prima stesura.

Adesso modifico, rivedo il contenuto, cerco le parole giuste. Per me il testo è fondamentale, la musica è funzionale al testo.

Nelle mie canzoni cerco di dire “cose”, non da maestro, ma da semplice osservatore, chiaramente con i miei occhi e le mie idee; i miei testi vogliono essere un misto di poesia e cronaca.

Diciamo una specie di cantastorie moderno.

La tua canzone preferita?

Non ce n’è una in particolare. Normalmente sono molto affezionato alle ultime, perché fanno parte di un percorso di crescita.

Nelle prime trovi i difetti di gioventù, anche se poi riascoltando quelle più vecchie mi sorprendo di aver scritto cose che continuano a piacermi e ad emozionarmi.

Progetti futuri?

Al momento faccio uno spettacolo accompagnato da un bravissimo batterista, ci sono dei musicisti che gravitano intorno con cui spero di fare qualcosa e sto lavorando per inserire un violoncellista che mi accompagni. L’idea mi piace molto.

Ma forse anche qualcosa con solo piano. Vedremo.

Cosa vuol dire per te salire sul palco?

Per me è come stare dentro una bolla.

Non capisci bene quello che ti succede intorno. Cerco sempre di non guardare il pubblico: osservo la mia chitarra, l’orizzonte.

Poi ti accorgi che c’è un respiro comune con la gente. Un forte scambio di energia. Nelle serate in cui tutto va per il meglio questa sensazione è quasi palpabile e come se fossimo un tutt’uno, io e il pubblico, il pubblico ed io.

Come senti dopo il concerto?

Mi sento ovattato. La bolla esplode e ti trovi la gente intorno che ti fa i complimenti, ti da la propria interpretazioni delle tue canzoni.

Mi arrivano un sacco di stimoli che mi restano li e che riesco a rielaborare solamente dopo un po’ di tempo.

Ho assistito ad un tuo concerto. Tu parli poco sul palco, è una scelta?

Penso che le canzoni parlino da sole.

Ila, perché la locandina dei tuoi spettacoli recita “Antautore in concerto”?

Diciamo che ci ha pensato il destino. Stavo preparando una locandina e nel scrivere cantautore la tastiere si è mangiata la “C”. Da quel momento è diventato immediatamente "Antautore" come segno di quel "distacco" (a livello poetico musicale) da tutto il fiorente mercato e dalla pretesa di voler fare a tutti i costi "musica d'autore" (intesa in senso "commerciale").

Consiglio di ascoltare dal suo myspace la canzone “Il figlio di papà”!

Questi sono i riferimenti di Ila:

myspace: www.myspace.com/leiden3

fb: http://www.facebook.com/pages/ilario-rosso/77051968745


Prossimi concerti di Ila:

6 FEBBRAIO “Notte rossa barbera”

http://www.facebook.com/home.php?#!/event.php?eid=465626655182&ref=mf
e
http://www.sottoilcielodifred.it/programma/gastronomia/notte-rossa-barbera

27 FEBBRAIO al Circolo Sud (via P.Tommaso 18 bis)

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